| Cecità - José Saramago |
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«Un commentatore televisivo ebbe l’ingegnosità di trovare la metafora giusta quando paragonò l’epidemia, o quel che fosse, a una freccia scagliata verso l’alto, che, nel raggiungere il culmine dell’ascensione, si mantiene per un momento come sospesa, e poi comincia a descrivere l’obbligatoria curva discendente che, a Dio piacendo, e con questa invocazione il commentatore ritornava alla trivialità degli scambi umani e all’epidemia propriamente detta, poi ci penserà la gravità ad accelerare, fino alla scomparsa del terribile incubo che ci tormenta, una mezza dozzina di parole, queste, che comparivano continuamente nei vari mezzi di comunicazione sociale, i quali finivano sempre col formulare il compassionevole augurio che i poveri ciechi potessero recuperare ben presto la vista perduta, promettendo loro, nel frattempo, la solidarietà di tutta la società organizzata, sia ufficiale che privata.»
Si, lo so: è esattamente il modo in cui potremmo descrivere quello che ci sta succedendo intorno e a cui stiamo assistendo, ma questo è semplicemente, anche se di semplice ha ben poco, un estratto del libro Cecità di José Saramago.
In una citta, non ben identificata e il cui nome è ignoto, una persona diventa improvvisamente cieca, ritrovandosi a vedere tutto bianco. Oltre ad apparire come una cecità del tutto insolita, sembra essere contagiosa e possedere la capacità di trasmettersi da persona a persona. Così, nel giro di poco tempo, le persone iniziano ad infettarsi, diventando cieche a loro volta. I primi casi vengono isolati, nella speranza di limitare i contagi, ma ben presto la situazione degenera e l’unica persona a non ammalarsi è una donna, la quale diventerà gli occhi di alcuni cechi.
È impressionante, incredibile e spaventosa la capacità che questo autore ha avuto, oramai più di vent'anni fa, di pensare e immaginare come l'essere umano, davanti ad un'epidemia di portata mondiale, avrebbe potuto reagire e muoversi; quasi profetica è stata la sua descrizione delle paure, dei timori, dei dubbi, delle ansie, delle speranze e dei desideri di un’intera umanità che si è trovata improvvisamente cieca, sia letteralmente che metaforicamente. Premonitrici ci appaiono i provvedimenti che il governo, all’interno del romanzo, adotta per fronteggiare il problema; con un sorriso amaro sulle labbra osserviamo la superficialità con cui, le persone, prendono la notizia di un’epidemia che da un giorno all’altro, come un fulmine a ciel sereno, arriva nelle loro case e nelle loro città.
Se non stessimo vivendo questo periodo, tutto ciò che Saramago descrive nel suo libro ci sembrerebbe pura fantasia: diremo che le reazioni dei suoi personaggi e quelle della società sono esagerate, che in fondo sono solo delle semplici iperboli, situazioni irrealizzabili e assurde; saremmo convinti che, anche davanti al pericolo che minaccia la nostra vita, riusciremmo a mantenere una calma stoica e a pensare con razionalità, dimenticandoci che non siamo solo intelletto e ragione e che a volte non possono fare niente davanti agli imprevisti della vita.
Ci siamo dimenticati che l’uomo non è indistruttibile, come diceva Pascal:
«L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa. Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe comunque più nobile di ciò che l’uccide perché sa di morire e conosce il potere che l’universo ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla»
Bel commento su un romanzo capolavoro! Complimenti
RispondiEliminaGrazie! :)
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